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Cambio euro-dollaro meno volatile

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Martedí 24 Febbraio 2009

Per comprendere l'attualità e le prospettive del cambio euro/dollaro conviene ripercorrerne le fasi evolutive (si veda il grafico a lato). Dall'epoca di definizione della parità teorica (gennaio 1999) e ottobre 2000, l'euro subisce un ridimensionamento del 29,2% del suo valore espresso in dollari. Dopo un breve periodo di stabilità, il cambio inizia a risentire della politica monetaria espansiva della Federal Reserve: il taglio del tasso federale fino all'1% protrattosi al terzo trimestre 2004 contribuisce infatti ad ampliare il differenziale rispetto al tasso imposto dalla Bce.
Il miglior rendimento garantito dagli investimenti nell'eurovaluta innesca il suo recupero sul biglietto verde: +65,2% rispetto ai minimi del 2000, +17,2% rispetto alla parità teorica. I bassi tassi americani favoriscono proprio in quel periodo lo sviluppo del mercato immobiliare, anche grazie all'abnorme concessione di mutui non adeguatamente garantiti, i cosiddetti subprime.
Durante l'intero 2005 la Fed raffredda le fiammate inflazionistiche accese dalla crescita economica con continui ritocchi al rialzo del tasso di riferimento. Poiché nel frattempo la Bce manteneva i tassi stabili, si determina il graduale ampliamento del differenziale a favore del dollaro, che si apprezza del 14,5%, tornando sui livelli fondamentali.
Nel biennio 2006-07 il tasso basilare del dollaro sale gradualmente al 5,25%: ciò non impedisce l'inesorabile apprezzamento dell'euro, che contava sulla crescente fiducia degli investitori. La politica restrittiva della Fed concorreva infatti a provocare la sofferenza dei mutui sub-prime che, a sua volta, anticipava lo scoppio della bolla immobiliare e a imprimere una prima brusca frenata alla crescita americana, già appesantita dal vertiginoso aumento dei deficit commerciale e federale. Sul dollaro iniziano così ad abbattersi le speculazioni ribassiste, che spingono l'euro al record storico di 1,6038 dollari il 15 luglio 2008.
Tra settembre e ottobre 2008 si è infine scatenata la "tempesta perfetta": una profonda crisi finanziaria che, tra l'altro, costringe molti speculatori a fare cassa con l'affrettata liquidazione delle operazioni di short selling sul dollaro. L'effetto è drammatico: in ottobre la divisa europea precipita a 1,2328, livello prossimo all'equilibrio del potere d'acquisto tra le due valute in funzione del gap inflazionistico cumulatosi in otto anni tra le rispettive aree monetarie. In dicembre, nel disperato tentativo di favorire il rientro delle posizioni debitorie sulle quali è basata una quantità ancora imprecisata di titoli derivati, la Fed azzera il tasso federale. Al subitaneo ampliamento del differenziale a favore dell'euro consegue un repentino rialzo del 18,5% della divisa europea.
Un rally peraltro dal fiato corto: la consapevolezza della progressiva debolezza strutturale della moneta, e le attese di ulteriori ribassi dei tassi europei, contribuiscono al ripiegamento dell'euro. Sulle prospettive del cambio euro/dollaro le idee sono piuttosto confuse: a gennaio 2009 il Sole 24 Ore ha rilevato le previsioni formulate da 15 banche commerciali e d'affari con esiti davvero sconcertanti: per fine 2009 si va da 1,12 a 1,50, mentre per l'intero 2010 i pronostici si posizionano tra 1,07 e 1,52. È invece probabile che il rapporto euro/dollaro tenda a perdere volatilità a causa della scomparsa dei protagonisti più aggressivi della speculazione valutaria, tendendo a oscillare in un corridoio laterale intorno ai livelli correnti fino a quando perdurerà il clima recessivo.
Le altre valute
La bufera finanziaria e l'avversione al rischio hanno alterato anche altri importanti rapporti valutari. Da inizio 2007 la sterlina si è deprezzata del 50% sul l'euro per effetto del pesante coinvolgimento del sistema bancario e finanziario inglese nella crisi scoppiata oltre Atlantico, ma anche come conseguenza dello storico taglio dei tassi praticato dalla Banca d'Inghilterra alle prese con una situazione d'inedita gravità. Del tutto opposta la dinamica di yen e franco svizzero: durante la crisi la moneta giapponese si è rafforzata del 33% sull'euro e del 20% sul dollaro. L'anomalia è spiegata dalle generalizzate operazioni di deleveraging, cioè il rimborso dei finanziamenti in valuta nipponica in precedenza destinati a investimenti in aree valutarie più profittevoli. La rivalutazione dello yen, che non giova certo all'economia giapponese, afflitta anch'essa dalla recessione e fortemente orientata alle esportazioni, è tuttavia destinata a rientrare nei prossimi mesi. La buona salute del franco svizzero è invece legata alla sua riscoperta come bene rifugio: nell'ottobre scorso la moneta elvetica si è apprezzata del 14% contro euro, sfiorando inoltre la parità contro dollaro. Anche la relativa forza del franco, tuttavia, è effimera: la Svizzera non è certo immune né dai contraccolpi della crisi economica, né dalle ricadute della finanza creativa.
L'impatto sull'economia russa del crollo delle materie prime ha provocato la svalutazione del rublo, che negli ultimi sei mesi si è deprezzato del 30% rispetto a euro e dollaro.Solo la banca centrale russa riesce a sostenere con difficoltà la propria moneta. In uno scenario connotato dalla depressione delle economie occidentali e da tassi d'interesse ai minimi storici, lo yuan cinese dovrebbe imporsi con facilità su tutte le altre valute. Peraltro, ancorché la Cina possa contare su una crescita interna ancora robusta, la sofferenza del l'export impone alle autorità cinesi un ferreo controllo sui rapporti valutari. Difficile che tale strategia possa cambiare nei prossimi mesi. Azzardando una previsione generale, fondata sull'attesa di una ripresa americana più rapida di quella europea, si prospetta il rafforzamento del dollaro sulle principali valute in un nuovo contesto dove prevarranno gli equilibri valutari pretesi da oggettivi confronti tra le variabili fondamentali delle economie impegnate nell'interscambio globale.

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